Storia degli stipendi dei professori universitari

Storia degli stipendi dei professori universitari

Gli obiettivi

Questo scritto si propone di far conoscere ai docenti universitari, sia di ruolo che precari, la storia e l’evoluzione delle retribuzioni del personale docente dell’università a partire dal secondo dopoguerra del secolo scorso e fino ai giorni nostri (2018). Esso è rivolto principalmente ai nuovi docenti, cioè ai giovani. Infatti abbiamo la netta sensazione che coloro che non hanno vissuto tutta la storia delle leggi che si sono susseguite nel tempo per regolare i nostri stipendi, e i corrispondenti diritti e doveri del nostro stato giuridico, a volte non possiedano tutti gli elementi necessari per dare giudizi motivati sugli interventi legislativi che si sono succeduti nel tempo fino ad ora. Ci siamo quindi sforzati di evidenziare nella storia dei nostri stipendi tutti quegli elementi legati al nostro stato giuridico che vanno individuati al fine di verificare la coerenza delle regole che sovrintendono al nostro status con le caratteristiche di dignità ed autonomia che gli derivano dall’art. 33 della nostra Costituzione.  Ci si augura che i nostri colleghi, una volta coscienti dei propri diritti, dimostrino finalmente il coraggio di ribellarsi ai soprusi subiti e, in particolare, a quelle norme che continuano a penalizzarci rispetto a tutti gli altri dipendenti del Pubblico Impiego.

Premessa

Ricordiamo che lo stipendio dei professori universitari può essere dato in tre modi diversi:

  1. Lordo Amministrazione: rappresenta la cifra che viene trasferita dal MIUR ai singoli atenei;
  2. Lordo Dipendente: è la cifra che si ottiene sottraendo al Lordo Amm.ne i contributi a carico della amm.ne stessa;
  3. Netto Dipendente: è la cifra che si ottiene sottraendo al Lordo Dipendente i contributi a carico del dipendente e la ritenuta IRPEF.

Una accurata descrizione dei rapporti tra queste diverse cifre retributive viene fornita nell’allegato 1. Si fa presente, comunque, che tali rapporti sono validi per le ritenute in atto nel 2012 (e anche nel 2018) ma non è detto che possano essere applicate “pari pari” agli stipendi degli anni precedenti. Comunque, accontentandosi dell’ordine di grandezza, si può dire che il Lordo Dip.te è circa il 73% del Lordo Amm.ne e lo Stip. netto è circa il 48% del Lordo Dip.te.

Gli stipendi riportati nelle tabelle di questo lavoro sono quelli di tipo b (Lordo Dip.te), per cui i valori netti in busta paga dovrebbero essere circa la metà. Per quanto attiene all’entità delle retribuzioni, al fine di permettere un facile confronto fra i valori che si sono susseguiti nel tempo abbiamo fatto la scelta di trasformare tutte le retribuzioni in valori di euro rivalutati al 2018, trasformando le lire in euro in base alla conversione 1 euro = 1936.27 lire (dal 1/1/1999) e rivalutando tutte le cifre in base agli indici ISTAT reperibili sulla Gazzetta Ufficiale. Per comodità viene anche fornita una tabella che riassume tali indici, a partire dal 1947 (allegato 2).

Mi corre infine l’obbligo di dire due parole sulla affidabilità dei dati qui raccolti. Comprenderete che non è stato facile, alla mia tenera età (sono 80!)  rimettere le mani a dati sulle retribuzioni raccolti fino a 60 anni fa! Ho fatto del mio meglio ma non posso certo garantire di non aver fatto errori. Ma anche lasciando da parte possibili errori miei, debbo sottolineare che molte volte i dati originali non includevano la IIS (indennità integrativa speciale, che dovrebbe compensare l’effetto dell’inflazione, rilevata dall’ISTAT) o non precisavano se nello stipendio era inclusa o meno la 13a mensilità.  Pertanto alcuni dati finali potrebbero essere errati all’incirca per un dodicesimo del loro valore. Ciò non dovrebbe inficiare i confronti complessivi. Comunque, di tutti i possibili errori il responsabile è . . . . il sottoscritto.

Introduzione

Fondamentalmente verrà posto l’accento sulla successione delle varie norme che hanno regolato la retribuzione dei docenti universitari nel tempo.  Ci è parso utile suddividere la storia degli stipendi in 3 periodi:

1)      periodo ante-1980, in cui si sono succedute leggi che non hanno modificato in modo sostanziale la struttura del nostro salario ereditata dal periodo fascista. Come esempio di partenza abbiamo scelto gli stipendi in atto negli anni 1963 e 1973.

2)      periodo degli anni ’80 e ’90, in cui lo stato giuridico ed economico sono quelli definiti dalla riforma della legge 28 e conseguente DPR 382 del 1980. Successivamente ci sono stati la legge sulla autonomia (L. 168/1989) e i provvedimenti legislativi che hanno tolto l’aggancio dei nostri stipendi a quelli degli Alti Dirigenti dello Stato. Come esempi delle retribuzioni di questo periodo abbiamo scelto gli anni 1980, 1989 e 1995.

3)      l’inizio del XXI secolo, con la approvazione delle leggi Moratti (L. 230/2005) e Gelmini (L. 240/2010), e le complicazioni legate al blocco degli stipendi sancito dal governo Berlusconi (DL. Tremonti n. 78/2010). Vengono fornite le tabelle degli stipendi del 2010 (quelli che hanno subito il blocco), del 2012 e 2018.

Le retribuzioni nei vari periodi

1) Il periodo ante-1980

Nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale gli stipendi dei dipendenti pubblici italiani avevano una caratteristica fondamentale che permetteva loro di fare immediati paragoni tra categorie diverse.  Lo stipendio era associato ad un coefficiente parametrale il cui valore unitario corrispondeva ad un preciso numero di lire annue lorde.[1] Anche eventuali indennità aggiuntive (che comunque erano piccole rispetto allo stipendio tabellare) erano proporzionali a tale parametro. In pratica, il confronto diretto tra i parametri assegnati a categorie diverse dava subito di fatto una idea del rapporto tra le loro retribuzioni. Oggi purtroppo non è più così, nel senso che le indennità aggiuntive  (e gli eventuali “fringe-benefits”) possono essere tante e molto rilevanti al punto da rendere non facile il confronto delle retribuzioni di categorie diverse.

[1]  Negli anni cinquanta tale coefficiente valeva 18000 lire lorde annue per cui un professore ordinario che al massimo della carriera aveva un parametro 805 di fatto aveva uno stipendio base annuo lordo di 14 milioni e 490 migliaia di lire (18.000 x 805 = 14.490.000

I dati

In questo periodo l’università era caratterizzata da una scarsissima democrazia. Il corpo docente era costituito da professori ordinari, assistenti e professori incaricati, ma il potere era concentrato nei professori ordinari che, nelle Facoltà e all’interno dei loro istituti mono-cattedra, facevano quello che volevano.  Una idea degli stipendi lordi dei docenti universitari nel 1963 si può trarre dalla Tabella 1

Purtroppo tutti i tentativi di far approvare una riforma complessiva dell’università che avvicinasse la nostra istituzione superiore a quelle dell’Europa occidentale, conferendo dignità a tutte le figure docenti e introducendo organi di governo e strutture democratiche (i dipartimenti), titoli di studio avanzati (dottorato di ricerca) e garantisse un appropriato diritto allo studio per gli studenti, andarono falliti. Basti ricordare i disegni di legge più famosi come il DdL AC- 2314 (la cosiddetta legge 2 pi greco) nel 1965 e il DdL AS-612 nel 1968.

In questo periodo le varie categorie di “docenti subalterni” cominciarono ad organizzarsi in associazioni sindacali (UNAU, ANPUI etc.), chiedendo con forza una profonda riforma dell’università. Un piccolo aumento di democrazia si ebbe nel 1973 con i “Provvedimenti urgenti” (D.L. 580/1973) che stabilizzarono gli incarichi di insegnamento e inserirono nei Consigli di Facoltà i professori incaricati stabilizzati e rappresentanti degli assistenti. Vennero anche aggiornati gli stipendi delle varie categorie, come si può vedere dalla Tabella 2.

Tabella 2.  Le retribuzioni (lire) dei docenti universitari nell’anno 1973 circaa
2) gli anni ’80 e ‘90

Nel 1980 si arriva finalmente ad una legge di riforma dell’università che, anche se si occupa principalmente di stato giuridico dei docenti, introduce parecchie innovazioni che avvicinano la nostra istituzione superiore a quelle degli altri paesi dell’Europa occidentale. La L.28 e il DPR 382 del 1980 istituiscono le nuove figure del professore associato, cui affluiscono a seguito di giudizio di idoneità a numero aperto i professori incaricati e gli assistenti di ruolo, e del ricercatore, cui affluiscono analogamente le varie figure precarie (contrattisti, borsisti etc.). I professori associati hanno gli stessi diritti e doveri di didattica e ricerca dei professori ordinari e ne differiscono solo per alcune limitazioni nell’elettorato passivo alle massime autorità accademiche. Viene creato l’istituto del “tempo pieno” opzionale e vengono resi più democratici gli organi di governo. Viene finalmente dato risalto alla ricerca scientifica introducendo il “dottorato di ricerca” e predisponendo fondi per la ricerca suddivisi in locali e di interesse nazionale (i famosi 60% e 40%). Viene infine aperta la strada per aumentare la autonomia locale, permettendo la “sperimentazione dipartimentale”.

Infine viene istituita una nuova carriera per i docenti, ancorando gli stipendi dei professori ordinari a quelli degli alti dirigenti dello Stato e definendo quelli dei professori associati come il 70% degli ordinari. L’aggancio degli stipendi dei ricercatori (70% degli associati) arriverà solo più avanti (L. 158/1987). Lo sviluppo della carriera economica dei professori è stato il frutto di una stretta collaborazione dei dirigenti CNU con i responsabili degli Uffici Scuola dei partiti di governo. Bisognava conciliare l’esigenza di garantire loro uno stipendio adeguato, cioè paragonabile a quello dei colleghi degli altri paesi dell’Europa occidentale, con la necessità di non gravare troppo sulle finanze del Ministero. Passò l’idea di dare un buon peso alla esperienza, partendo da stipendi bassi iniziali che crescevano con una buona derivata diventando “europei” alla fine della carriera. Il marchingegno per raggiungere questo risultato, garantendo parimenti un aggancio allo stipendio degli alti Dirigenti dello Stato, fu il frutto di una  brillante idea del nostro Vice-Presidente di allora, Paolo Blasi, che in una lunga riunione notturna convinse i responsabili degli Uffici Scuola a proporre la norma seguente “Ai professori appartenenti alla prima fascia all’atto del conseguimento della nomina ad ordinario è attribuita la classe di stipendio corrispondente al 48,6% della retribuzione del dirigente generale di livello A dello Stato, comprensiva dell’eventuale indennità di funzione” (art. 36, c. 2, del DPR 382/1980). A partire da tale livello furono poi calcolati a ritroso gli stipendi della carriera precedente, prevedendo una serie di 6 classi biennali separate da aumenti del 8%.

Gli stipendi dei professori e dei ricercatori previsti dal DPR 382/1980 sono raccolti nella Tabella 3.

Tabella 3. Le retribuzioni (lire) dei docenti universitari a tempo pieno nell’anno 1980a

Poco dopo gli stipendi degli alti dirigenti delle Stato, e quindi anche dei professori universitari a loro agganciati, vengono rivalutati del 23% (L.432 del 6/8/1981). Solo ai dirigenti statali viene però attribuito, in aggiunta, un assegno pensionabile del 15% dello stipendio. Comincia così il lento cammino del distacco dei dirigenti statali dai professori universitari.

L’anno successivo il trattamento economico dei dirigenti statali viene prorogato, prevedendo al tempo stesso un suo aumento del 12.20% a partire dal 1/1/1983 (L.869 del 20/11/1982). Ai soli dirigenti dello Stato viene però attribuito un ulteriore beneficio basato sugli anni di effettivo servizio.

All’inizio dell’anno successivo la L. 79 del 17/4/1984, oltre alla solita proroga degli stipendi dell’alta dirigenza (fino alla fine del 1984) e ad un parallelo aumento del 13%, introduce anche una sostanziale modifica della carriera universitaria aggiungendo oltre l’ultima classe stipendiale vigente (la 6a del 8%) una ulteriore serie di 8 scatti biennali stipendiali del 6%.   La carriera dei professori universitari viene così allungata di 16 anni: la ex classe 7 con gli aumenti biennali di fine carriera del 2,5% viene quindi spostata all’inizio del 31° anno dall’ingresso in ruolo.

Negli anni successivi si susseguono diverse leggi che aumentano ancora le retribuzioni degli alti dirigenti statali, e quindi anche dei docenti universitari (vedi L. 72 del 8/3/1986, L.341 del 11/7/1986, L. 37 del 28/2/1990 e infine della L. 21 del 23/1/1991).

Con la L. 216 del 6/3/1992 si introduce la norma che aggiorna automaticamente ogni anno le retribuzioni dei dirigenti statali sulla base degli aumenti medi del P.I. contrattualizzato nell’anno precedente.  L’aumento medio % viene rilevato dall’ISTAT e certificato da un decreto del Presidente della Repubblica (DPR e, dal 1999, un semplice DPCM). L’efficacia di tale norma viene però sospesa per 2 anni da alcune leggi successive e ripristinata infine dalla L. 186 del 17/5/1995. Le retribuzioni valide negli anni 1989 e 1995 sono raccolte nelle Tabelle 4 e 5, rispettivamente.

I dati della tabella 5 sono stati raccolti e classificati da parte dell’amico carissimo Alberto Pagliarini, a lungo Presidente della sede CNU di Bari, e Presidente della Commissione Sindacale del CNU Nazionale dal 1998 al 2011. Il Prof. Pagliarini è l’autore delle famose tabelle che, dal 1995 al 2010, raccolgono tutti i dati delle retribuzioni dei docenti universitari con grande precisione (8 cifre significative!) e con tutte le indicazioni sulla natura ed entità delle varie ritenute. Le tabelle di Pagliarini per gli anni dal 2001 al 2010 (nel 2010 ci fu il famoso “blocco”) sono reperibili sul sito:  http://alpaglia.xoom.it/alberto_pagliarini/.

Pagliarini era divenuto un vero esperto non solo nelle questioni stipendiali ma anche nella normativa amministrativa dell’Università, al punto che molti dirigenti di singoli atenei per la interpretazione delle norme consultavano lui invece del Ministero dell’Università.

Con alcune leggi successive (culminate nella Legge Finanziaria del 1998) si introduce un graduale distacco delle retribuzioni dei Dirigenti dello Stato da quelle dei professori universitari. Infatti sulla base di una vecchia legge “Bassanini” i Dirigenti Pubblici sono destinati ad essere “contrattualizzati”, mentre resta in regime di Diritto Pubblico il rapporto di impiego di (1) magistrati, militari e forze di polizia, diplomatici e prefetti e (2) professori e ricercatori universitari. Per questi ultimi ciò vale (D. Leg.vo 165 del 16/5/2001) in attesa di una specifica nuova disciplina.

Tabella 4. Retribuzioni dei docenti universitari a tempo pieno nel 1989.a

Il XXI secolo

All’inizio del secolo il Ministro P.I. Moratti del governo Berlusconi affida ad una commissione presieduta dall’ On.le De Maio il compito di preparare una proposta di riforma dell’Università. La proposta suscita subito molte critiche in quanto si preoccupa quasi soltanto di problemi di stato giuridico e di concorsi senza affrontare minimamente problemi altrettanto seri come il diritto allo studio e il sostegno alla ricerca scientifica.  Ma il governo vuole dimostrare la propria attività anche in questo campo e riesce a far approvare dal parlamento la Legge 230/2005 (famosa Legge Moratti). La legge aumenta gli obblighi didattici dei docenti (le 120 ore frontali) a costo zero, stabilisce il pensionamento dei professori di entrambe le fasce a 70 anni abolendo il fuori-ruolo, elimina il doppio regime tempo pieno-tempo definito, cambia le regole dei concorsi istituendo una abilitazione scientifica nazionale a numero programmato seguita da valutazioni comparative locali e pone ad esaurimento (dal 2013) il ruolo dei ricercatori. Non interviene in modo diretto sulle retribuzioni.

Sulle retribuzioni interviene invece pesantemente il governo Berlusconi del 2008, al fine di affrontare la grave crisi economica di quegli anni. Il famoso decreto-legge del Ministro dell’Economia Tremonti (D.L. 78 del 2010) blocca praticamente tutti i meccanismi di adeguamento stipendiale dei Pubblici Dipendenti, dai normali scatti di carriera ai contratti e agli adeguamenti ISTAT. Ma per i soli docenti universitari il blocco viene esteso anche agli effetti giuridici della maturazione degli scatti stipendiali e viene successivamente protratto fino alla fine del 2015 (per tutti gli altri 2014). In tal modo i soli universitari alla scadenza del blocco, nel 2016, si ritrovano con lo stipendio che avevano nel 2010, come se nel quinquennio 2011-2015 non avessero prestato servizio. Naturalmente questo blocco di carriera si traduce in un abbassamento della curva stipendiale (5 anni di blocco significano 2,5 scatti biennali in meno) che si protrae nel tempo fino alla pensione. Una stima della perdita economica complessiva a fine carriera nel caso di un professore associato a tempo pieno che nel 2010 era nella classe 7 si aggira sui 90.000 euro.

Le retribuzioni dei docenti universitari all’inizio del blocco (2010) sono raccolte nella Tabella 6.

Tabella 6. Retribuzioni (euro) dei docenti universitari a tempo pieno, nel 2010a

Il governo Berlusconi decide anche di rinunciare definitivamente ad applicare la Legge Moratti e ripartire, nel 2009, con un nuovo progetto di riforma. Contemporaneamente, inizia una pesante campagna denigratoria dell’Università che enfatizza il ruolo negativo dei “baroni universitari” e la mancata valorizzazione del merito nel reclutamento e nella carriera dei docenti. La riforma (Legge Gelmini) viene approvata nel 2010 e mostrerà subito che, contrariamente alle sbandierate intenzioni, in realtà il potere dei “baroni” risulta aumentato: viene infatti rafforzato il ruolo del Rettore e del Consiglio di Amministrazione e faranno parte delle Commissioni giudicatrici dei concorsi i soli professori ordinari. Contemporaneamente viene dato corpo alla pretesa valorizzazione del merito tramite la creazione di un “fondo per il merito” degli studenti e una valutazione degli atenei che, se virtuosi, riceveranno come premio una quota crescente del FFO.  Tra le norme che hanno a che fare con le retribuzioni spicca la modifica della carriera dei docenti, le cui classi e scatti stipendiali vengono trasformate da biennali a triennali, subordinandone la maturazione alla valutazione positiva di tutte le attività svolte. E purtroppo pare che queste valutazioni pretendano di premiare il merito selettivamente, senza limitarsi alla semplice verifica del normale assolvimento dei propri doveri, cosa che sarebbe più coerente con la natura degli scatti automatici originali del DPR 382/1980.

La carriera e le retribuzioni determinate dalla Legge Gelmini sono riportate nella Tabella 7.  In questa stessa tabella nelle ultime due colonne è riportata anche la nuova carriera biennale introdotta dalla Legge Finanziaria 2018. Dai dati di questa tabella possiamo provare a calcolare dopo quanti anni recupererebbe i 90.000 euro perduti l’ipotetico PA alla classe 7 nel 2010. Si vede che la velocizzazione della carriera introdotta dalla Finanziaria 2018 permette di recuperare un terzo dello scatto medio triennale (approssimabile, per eccesso, a 1000 euro) ogni biennio e quindi richiederebbe 90 scatti, ossia una ulteriore carriera di 180 anni! Desideriamo mettere in evidenza che nella nuova carriera prevista dalla Legge Gelmini lo stipendio della classe iniziale dei professori equivale a quello della vecchia carriera con riconoscimento di alcuni anni di anzianità pregressa.  Però nel caso dei PO lo stipendio iniziale è quello che corrisponde ad una anzianità pre-ruolo di 8 anni mentre per i PA di 6 anni soltanto. In sostanza è come se la carriera dei PA venisse rallentata un po’ con la conseguenza che lo stipendio tabellare del PA non è più ancorato al 70% di quello del PO ma varia, nell’arco della carriera, dal 63 al 69%. La retribuzione complessiva risulta invece calata al 70% circa rispetto al 74-75% precedente. Ciò porta ad una dequalificazione retributiva della seconda fascia e quindi, a nostro avviso, dell’intero corpo docente.

Tabella 7. Le retribuzioni (euro) dei docenti universitari a tempo pieno secondo la Legge Gelmini: nel 2012 (classi triennali) e nel 2018 (classi biennali) a

Sul blocco degli scatti

Negli ultimi anni ci sono state diverse iniziative di protesta contro il governo per convincerlo a compensare in qualche modo gli effetti negativi del blocco degli scatti dei docenti universitari. In particolare ha avuto un certo successo il parziale sciopero dagli esami indetto dal Movimento per la Dignità guidato dal Prof. Ferraro.  La risposta del governo è stata purtroppo deludente (vedi, L. 205 del 27/12/2017, cioè la legge Finanziaria 2018), limitandosi alla concessione di un contributo “una tantum” di circa 1000 euro netti nel biennio 2018-2019 e alla ritrasformazione degli scatti di carriera da triennali a biennali, mantenendone immutato il valore economico.  Se da un lato l’una tantum rappresenta mediamente circa il 40% del danno economico subito in un biennio, dall’altro la modifica della carriera lascerebbe inizialmente inalterato il danno economico del blocco e permetterebbe di raggiungere lo stipendio di diritto gradatamente nel tempo nell’arco di 10 anni. Siccome gli effetti economici di tale compensazione partirebbero nel 2020, ciò significa che gli effetti del blocco verrebbero annullati soltanto nel 2030 e un recupero (graduale e parziale) del furto subito comincerebbe soltanto dopo. Con la conseguenza che non avrebbero nessun rimborso tutti coloro che sono già in pensione, o che ci andranno nei prossimi anni, e non potrebbero recuperare tutta la perdita anche i docenti che sono entrati in ruolo tardi e non riescono ad arrivare alla fine della carriera prima di raggiungere l’età della pensione: l’età media di ingresso in ruolo nel 2015 era 43 anni per i PA e 54 anni per i PO, ma stava crescendo.

Ma se vogliamo dare una occhiata più da vicino alle perdite stipendiali delle varie categorie causate dal blocco, immaginiamo di riferirci a docenti entrati in ruolo (quindi dopo i 3 anni di straordinariato o conferma) nel 2010. I dati della tabella 6 mostrano che un PO di questa anzianità perdendo 2,5 scatti iniziali ha subito un prelievo di circa 10.000 euro. Alla fine del blocco sarà all’ottavo anno di carriera e gliene mancano 23 per arrivare alla fine della carriera (classe 14: 31 – 8 = 23 anni). A fine carriera avrebbe subito un prelievo forzoso di circa 230.000 euro (10.000 x 23). Facendo lo stesso calcolo per le altre categorie troveremmo prelievi di circa 160.000 euro per un PA e 115.000 euro per un RTI.  Però simili prelievi avverrebbero solo per una sparuta minoranza dei docenti a causa della loro alta età di ingresso in ruolo.  Ad es. se facciamo il calcolo per il grosso dei PO, cioè quelli entrati in ruolo alla età media di ingresso (54 anni, per cui andranno in pensione dopo soli 16 anni), ci accorgiamo che questi presteranno servizio per ulteriori 8 anni (16 – 8 = 8) e pertanto il loro prelievo sarà soltanto di 80.000 euro circa. Analogamente si può vedere che il prelievo reale tipico per un PA scenderà a circa 135.000 euro, mentre resterà invariato per un RTI la cui età media di ingresso in ruolo (39 anni) gli permette di arrivare al massimo della carriera. Quindi all’atto pratico la situazione è più favorevole del previsto per la maggioranza dei professori, ma non per i ricercatori. E, nell’ambito dei professori, sarà peggiore per coloro che sono entrati in ruolo prima (quelli più bravi?). Insomma, una ingiustizia dietro l’altra!

Purtroppo anche nella Legge Finanziaria 2019, nel testo proposto dal governo ora all’esame del Parlamento, non compare alcun correttivo agli infausti effetti del blocco del 2010. Questo ci dà una idea di come ci prendono in giro i nostri governanti. Ma se noi non siamo in grado di ribellarci . . . . . . .   hanno ragione loro!

Considerazioni finali

Nella tabella 8, infine, viene mostrato come si sono evolute nel tempo le retribuzioni dei docenti universitari lungo l’arco della carriera.

Tabella 8. Le retribuzioni (euro) dei docenti universitari a tempo pieno nel tempo: Professori Ordinari, Professori Associati e Ricercatori T.I. (>1980), Assistenti a

A una prima occhiata, non deve meravigliare il basso valore degli stipendi del 1980. Di fatto l’aggancio allo stipendio dell’Alta Dirigenza dello Stato stabilito dal DPR 382 fu mantenuto ad un livello basso. Ci pensò la larga manus dei governi che si sono succeduti negli anni immediatamente successivi ad innalzare lo stipendio base degli Alti Dirigenti (e quindi anche il nostro), che con leggine varie nell’arco di tempo 1980-1986 praticamente raddoppiò.

 A parte ciò, notiamo che le retribuzioni a fine carriera sono in generale abbastanza alte. Il problema però è la possibilità di arrivarci a fine carriera. Sappiamo infatti che a causa dell’alta età media di ingresso in ruolo la gran parte dei professori ordinari, e anche molti associati, arrivano all’età della pensione diversi anni prima di aver raggiunto il massimo della carriera. Uno dei grossi problemi che ci si presenta nei prossimi anni è proprio quello di far abbassare sensibilmente l’età media di ingresso, così realizzando parallelamente il duplice obiettivo di rendere l’età media dei nostri docenti paragonabile a quella degli altri paesi europei e anche di ridurre il lungo periodo dell’attuale precariato.

Siamo così giunti al termine di questa chiacchierata sulla evoluzione degli stipendi dei docenti universitari nel tempo. In conclusione, ci sentiamo di poter affermare che la nostra categoria negli anni a venire dovrà preoccuparsi sostanzialmente di due aspetti del binomio “stato giuridico -retribuzione”.

  • non ci deve preoccupare l’entità delle retribuzioni che il legislatore ha associato al percorso della nostra carriera: essa in sé appare ragionevole. Il problema sostanziale è che questa carriera non deve esistere solo sulla carta, ma ci deve essere data la possibilità di percorrerla fino in fondo. Finché non riusciremo a far diventare professori ragazzi di poco più di 30 anni, come succede all’estero, la partita sarà persa.
  • più ancora dei quattrini ci deve preoccupare lo stravolgimento del nostro stato giuridico attuato dalle leggi che si sono susseguite nel tempo. Nonostante ufficialmente il nostro stato giuridico sia nazionale, di fatto molte delle nostre attività sono giudicate localmente sulla base di regolamenti di ateneo (vedi la valutazione per maturare gli scatti di carriera o per la concessione di premi al merito o la stessa concessione dell’una tantum della Finanziaria 2018) che possono differire tra loro in modo sostanziale.

Se a questo aggiungiamo le limitazioni alla nostra autonomia e i pesanti obblighi di natura amministrativa che rubano gran parte del tempo che dovremmo dedicare a didattica e ricerca, ci accorgiamo che la situazione si fa davvero pesante.

Speriamo fortemente che i nuovi docenti, cui questo scritto è principalmente rivolto, mantengano la consapevolezza che il nostro lavoro non è un lavoro qualunque: non siamo semplici impiegati pubblici, ma abbiamo una autonomia e una libertà che dobbiamo usare con estrema serietà e dedizione.  Sosteneva un vecchio amico che in realtà siamo degli imprenditori: “imprenditori di noi stessi”!

Ci auguriamo quindi che i colleghi giovani sappiano stare uniti e trovare il coraggio di ribellarsi alle limitazioni citate sopra. Personalmente ci rendiamo perfettamente conto che ai nostri giorni non va più di moda associarsi in organizzazioni di tipo sindacale o anche culturale. Ma spero fortemente che continuino a dare il loro contributo all’interno di una associazione al tempo stesso culturale e sindacale come il CNU. Probabilmente sarà sempre più difficile un confronto a livello nazionale con i nostri governanti. Ma tenete presente che l’attività di associazioni come il CNU è ora a maggior ragione più importante a livello locale, proprio per controllare che gli organi di governo dei singoli atenei non stravolgano ulteriormente il nostro stato giuridico

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